martedì 8 aprile 2008

La mononucleosi

La mononucleosi, che ha come sintomi prevalenti stanchezza e aumento dei globuli bianchi, è una malattia infettiva non sempre facile da diagnosticare. Si trasmette soprattutto fra i giovani, abitualmente attraverso la saliva; per questo motivo è conosciuta anche come kissing desease o "malattia del bacio".

La mononucleosi è causata da un virus chiamato EBV (Epstein-Barr Virus), appartenente alla famiglia degli herpes virus, la stessa di varicella e fuoco di Sant'Antonio.

Sintomi
I sintomi principali della mononucleosi sono simili a quelli di un comune malanno invernale e comprendono febbre, debolezza, senso di malessere generale ed ingrossamento dei linfonodi. Il periodo di incubazione è piuttosto lungo e variabile dai 30 ai 50 giorni. Generalmente è inferiore nei bambini.

L'esordio clinico è spesso preceduto da una fase, detta prodromica, in cui la sintomatologia è di carattere generale e non particolarmente preoccupante (modesta cefalea, febbricola, anoressia, dolori muscolari diffusi, sudorazione ecc.). Se il virus prende il sopravvento sul sistema immunitario, la mononucleosi vera e propria esordisce con una fenomenologia più specifica, i cui elementi principali sono rappresentati da febbre, faringite (mal di gola, difficoltà nella deglutizione, possibile disidratazione) e linfoadenomegalia. Dopo alcuni giorni si assiste alla comparsa di un rilevante numero di cellule linfocitarie atipiche nel sangue. L'astenia (debolezza) è un altro sintomo spesso rilevante, che in alcuni casi perdura per svariate settimane.

Altri sintomi della mononucleosi comprendono: splenomegalia (ingrossamento della milza) ed orticaria. Spesso è presente anche una sofferenza epatica, evidenziabile attraverso esami sierologici.

La mononucleosi può causare delle complicanze, fortunatamente piuttosto rare, a carico del sistema nervoso centrale, periferico e vascolare (anemia emolitica e piastrinopenia). Possibile anche il coinvolgimento di cuore e polmoni.

In alcuni casi la malattia si manifesta in maniera subdola, con poca febbre ed un senso generale di malessere e stanchezza, che può perdurare anche per diversi mesi. Dopo l'iniziale contagio, l'Epstein-Barr virus rimane infatti silente, in attesa che le difese immunitarie si abbassino. La sua successiva riattivazione è implicata nella sindrome da stanchezza cronica.

L'infezione persistente da EBV è stata recentemente messa in relazione anche con l'insorgenza del linfoma di Burkitt e di altre malattie tumorali. Se il contagio avviene durante l'infanzia, la momonucleosi è solitamente caratterizzata da sintomi lievi, non specifici o da nessun sintomo.

Contagiosità
La mononucleosi è una malattia a contagiosità modesta, che colpisce preferenzialmente soggetti di età compresa fra i 15 ed i 25 anni. Diffusa un po' in tutto il mondo, interessa entro l'adolescenza il 50% degli individui che vivono nei Paesi industrializzati, mentre compare più precocemente in quelli in via di sviluppo. Considerato il basso tasso di contagiosità, la mononucleosi può causare piccole epidemie soltanto in particolari condizioni (stretto contatto con soggetti affetti, sovraffollamento e cattive condizioni igieniche).

Secondo recenti stime, nel corso della propria vita circa il 90% della popolazione adulta, senza particolare predilezione di sesso, è venuta in contatto con l'Epstein-Barr virus. La maggior parte di queste persone ha sviluppato anticorpi specifici senza aver mai accusato alcun segno di infezione. La mononucleosi dà segni di sé soltanto quando colpisce soggetti debilitati, con un sistema immunitario compromesso.

Il contagio può essere diretto ed avvenire tramite saliva (via oro-faringea), rapporto sessuale o trasfusioni di sangue ed emoderivati, oppure indiretto, per esempio tramite l'utilizzo comune di oggetti contaminati quali posate, bicchieri, piatti e giocattoli.

La contagiosità può permanere per molto tempo, poiché l'eliminazione faringea del virus persiste fino ad un anno dopo l'infezione. Bisogna inoltre considerare che, durante i periodi di riattivazione del virus, gli stessi portatori sani possono diventare fonte di contagio. In ogni caso se si è già stati infettati una volta, ogni successivo contatto con una persona affetta da mononucleosi sarà privo di conseguenze. La malattia non costituisce un pericolo nemmeno per le gestanti e non esiste, tuttora, alcuna relazione certa tra mononucleosi ed aborti o malformazioni fetali.

Diagnosi
L'infezione acuta da mononucleosi è diagnosticata clinicamente dal contemporaneo manifestarsi di febbre, ingrossamento dei linfonodi e mal di gola. La diagnosi definitiva si raggiunge soltanto mediante la constatazione della presenza di linfociti caratteristici nel sangue. Gli stessi sono però riscontrabili anche nel corso di altre malattie, come l'epatite virale, la malattia da citomegalovirus e la rosolia. Tuttavia, mentre in queste condizioni la percentuale di linfociti anomali è nettamente inferiore al 10%, in caso di mononucleosi la quota di cellule linfocitarie atipiche non scende al di sotto di tale valore. In ogni caso per differenziare la malattia dalle sindromi similmononucleosiche precedentemente elencate, esistono esami immunologici specifici.

Cura e terapie
Nella maggior parte dei casi la mononucleosi si risolve positivamente entro due o tre settimane. Raramente si hanno ricadute croniche negli anni a venire, anche se alcuni pazienti tendono comunque ad accusare stanchezza e difficoltà di concentrazione per diversi mesi. Dopo la guarigione, l'EBV rimane infatti latente nel tessuto linfoghiandolare e può riattivarsi dando luogo alla cosiddetta "sindrome da fatica cronica", uno stato di debilitazione generale che può perdurare diversi mesi, sottraendo al soggetto energie fisiche e mentali (si noti l'analogia con l'herpes simplex e zoster, responsabili, rispettivamente, dell'herpes labiale/genitale e della varicella/fuoco di Sant'Antonio). Per prevenire il riattivarsi del virus è importante mantenere l'efficienza del sistema immunitario con uno stile di vita attivo, privo di eccessivi stress e basato su una sana alimentazione.

Il paziente colpito da mononucleosi dovrebbe riposare a letto ed evitare sforzi fisici per almeno un mese, specie se sussiste splenomegalia. La rottura della milza per traumi addominali è infatti una complicanza rara ma temibilissima. Le categorie a maggior rischio sono i bambini e gli sportivi, che dovrebbero astenersi dagli sforzi anche per qualche settimana dopo la remissione clinica. Se durante l'attività, dopo energica palpazione, o in seguito ad un incidente, dovessero insorgere dolori diffusi alla parte superiore sinistra dell'addome, è bene richiedere l'intervento immediato dei soccorsi sanitari.

La terapia farmacologica della mononucleosi si basa sulla somministrazione di analgesici (acetaminofene, ibuprofene) ed antipiretici (escluso l'acido acetilsalicilico che può causare una grave complicanza chiamata sindrome di Reye).

Soltanto nei casi più gravi è previsto il ricorso, per alcuni giorni, ai farmaci corticosteroidei. Nel caso fallissero anche questi medicinali, la cura della mononucleosi si può avvalere delle IgG (immunoglubuline).

Federico Cesareo

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